Ugolino della
Gherardesca Conte di Donoratico
"La
bocca sollevo'dal fiero pasto
quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea di retro guasto."
Con queste
parole Dante Alighieri inizia il canto XXXIII dell’Inferno, dedicato alla
tragica agonia che portò alla morte del conte Ugolino della Gherardesca,
lasciato morire di fame coi figli Gaddo e Uguccione
e i nipoti Nino detto il Brigata e
Anselmuccio per ordine
dell’Arcivescovo Ruggieri che lo aveva accusato di tradimento.
Ugolino nel Canto ripercorre lo strazio di veder morire i suoi eredi,
fin quando:
“poscia,
più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno”
Con questo verso ambiguo, carico di sinistri significati, alcuni vi hanno
letto allusioni al cannibalismo, ennesimo mistero che appassiona fino ai giorni
nostri.
Ugolino della
Gherardesca, conte di Donoratico è stato il più famoso proprietario del Castello
di Acquafredda. Nacque nella prima metà del Duecento (1220 ?) da nobile
famiglia, padrona di vasti feudi nella Maremma. In Sardegna arrivo' nel 1257
circa quando cadde il giudicato di Cagliari (Karales) e divenne padrone del
territorio che da Cagliari arriva ad Iglesias, passando da Siliqua (Castello di
Acquafredda) e da Villamassargia (Castello di Gioiosa Guardia). Ad Iglesias il
suo castello veniva chiamato “San Guantino” (ora Salvaterra). Nella cittadina
Iglesiente sfrutto' i ricchi giacimenti di argento e piombo. Sebbene di famiglia
tradizionalmente ghibellina, nel 1275 si accorda col genero Giovanni Visconti
per portare al potere a Pisa il partito guelfo. Scoperta la congiura fu bandito,
ma torno' a Pisa l’anno seguente riacquistando autorità e prestigio. Dopo la
sconfitta dei Pisani nella battaglia della Meloria nel 1284, assunse la signoria
del comune col titolo di podestà. Nel 1288, la parte ghibellina insorse sotto la
guida dell’Arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e delle famiglie Gualandi,
Sismondi e Lanfranchi. Accusato di tradimento perché considerato responsabile
della sconfitta della Meloria, fu rinchiuso senza processo insieme a due figli e
due nipoti nella torre della Muda, poi detta della fame, dove, dopo alcuni mesi
di prigionia, tutti e cinque furono lasciati morire di fame nel febbraio del
1289. Il peccato commesso da Ugolino è quello di essersi cibato di carne umana e
da qui ha origine la pena, a cui Dante lo condanna, di rodere per l’eternità il
cranio dell’Arcivescovo Ruggieri.
Il processo a Ugolino fu celebrato, in una suggestiva ricostruzione storica a Pisa, nel 1989 e il conte fu assolto da tutti i capi di imputazione a suo carico.
Nel 2002, l'archeologo
Francesco
Mallegni trovo' quelli che vennero considerati come i resti di
Ugolino e dei suoi familiari. Le analisi del DNA delle ossa
evidenziarono che si trattava di cinque individui di tre generazioni della
stessa famiglia (padre, figli e nipoti), e ricerche effettuate sugli attuali
discendenti dei della Gherardesca portarono alla conclusione che i resti umani
appartenevano al 99% a membri della stessa famiglia..
Il medico che
segui' la ricerca non crede ci sia stato alcun cannibalismo: le analisi delle costole del
presunto scheletro di
Ugolino hanno rivelato tracce di magnesio ma
non di zinco, che
sarebbe invece evidente nel caso in cui avesse consumato carne nelle
settimane prima del decesso.
Risulta
abbastanza evidente, invece, l'inedia di cui hanno sofferto le vittime prima
della morte: Ugolino era un uomo molto anziano per quella epoca (più che
settantenne) ed era quasi senza denti quando fu imprigionato, il che rende ancor
più improbabile che sia sopravvissuto agli altri e abbia potuto
cibarsene.
Inoltre,
Mallegni ha sottolineato che il più anziano degli scheletri aveva la scatola
cranica danneggiata: se si trattava di Ugolino, si puo'
affermare che la malnutrizione ha peggiorato sensibilmente le sue condizioni, ma
non è stata l'unica causa di morte.
Nonostante
tutto questo il Conte Ugolino rimarrà eternamente il leggendario conte che da
tradizione si mangio' i figli...
La
lapide a Pisa nella torre della Muda
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Il conte Ugolino
rosicchia il cranio dell'Arcivescovo Ruggeri. Gustavo
Dorè
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Ugolino con i figli e
i nipoti nella torre della fame. Francesco
Scaramuzza
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...Padre mio, che non m'aiuti?
quivi mori'... Gustavo Dorè
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